Aifa tra scienza e politica
Riordino, rivoluzione, restaurazione. Cosa sta succedendo lo racconta Luca De Fiore

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Riordino, rivoluzione, restaurazione. Cosa sta succedendo lo racconta Luca De Fiore
Cosa sta succedendo. L’8 novembre 2022 un decreto legge ha ridisegnato l’Agenzia italiana del farmaco [1]: la figura del direttore generale è giudicata non più necessaria nonostante detenga tutti i poteri di gestione di Aifa e ne diriga l’attività, emanando i provvedimenti che non siano attribuiti ad altri organi dell’agenzia. La rappresentanza legale diventerà del presidente del Consiglio di amministrazione: come sarà scelto e nominato lo stabilirà un decreto del Ministero della salute, d’intesa con i ministeri della Funzione pubblica ed Economia e finanze, nonché con la Conferenza Stato-Regioni. Il decreto in arrivo darà anche indicazioni sulle modalità di nomina del direttore amministrativo e di quello tecnico-scientifico che, peraltro, già avrebbero dovuto essere stati da tempo nominati. Delle attuali due Commissioni Tecnico-scientifica e Prezzi e rimborsi ne resterà una unica che si occuperà sia di valutazione sia di determinazione dei prezzi. Sarà composta da dieci persone: quindi la metà degli esperti fino a oggi coinvolti in questo processo. Inoltre, in apertura dell’anno nuovo, il Ministero della salute ha comunicato la determinazione a non rinnovare l’incarico a Nicola Magrini, per tre anni direttore generale dell’Agenzia.
Queste novità – la “rivoluzione” nell’assetto dell’Agenzia e il mancato rinnovo dell’incarico al DG – hanno suscitato articoli, commenti a interviste e tweet quasi sempre fortemente critici [2]. Le reazioni riguardano sia la forma con cui sono state prese e comunicate le decisioni sia il merito delle scelte governative.
Tra le riserve di ordine formale viene rimproverato al Governo di non aver previsto un confronto aperto sulla necessità di una diversa struttura organizzativa e sul funzionamento dell’Agenzia. In realtà si trattava di un cambiamento annunciato – o forse “minacciato” – con frasi inserite in interviste o con accenni durante tavole rotonde soprattutto dal presidente stesso dell’agenzia [3], parte in causa dovendo – se non sostituito – assumere la rappresentanza legale. Alla fine, il provvedimento è stato inserito nel Decreto L. n. 169/2022 che reca “disposizioni urgenti” anche su diverse altre cose. Non è un buon segnale, ma il confronto parlamentare non è di gran moda e i decreti sono diventati la soluzione preferita dai Governi che hanno preceduto quello in carica. Allo stesso modo, la pratica dello spoils system – sempre in assenza di motivazioni esplicite e dettagliate che ne giustifichino l’uso – non è una novità e ha interessato i vertici dell’Aifa diverse volte in occasione del cambio di governo, confermando la sensazione che l’indipendenza dell’agenzia dalla Politica sia solo teorica.
Nella sostanza, le politiche sanitarie legate ai farmaci meriterebbero sicuramente un dibattito aperto e più intenso e vivace di quello che nasce in occasioni del genere. I temi non mancherebbero: per esempio si potrebbe discutere dell’equità di accesso alle cure tra i diversi Paesi europei [4] o all’interno delle nazioni e dei contesti locali [5], della necessità e dei modi della ricerca clinica collaborativa e indipendente, della risposta delle istituzioni pubbliche alle strategie industriali in rapporto alla sostenibilità del sistema [6]. Invece i commenti di merito alle decisioni del Governo si sono concentrati su altre questioni, senza domandarsi realmente se questa “rivoluzione” sia dettata dal desiderio di cambiare l’approccio che ha caratterizzato la direzione di Nicola Magrini.
Sicurezza e innovazione. In particolare è stata criticata la decisione di unificare le commissioni dell’agenzia, mettendola in relazione con una frase del nuovo ministro della salute: “spero che i tempi dei dossier che Aifa esamina diventino molto più brevi. Abbiamo un ritardo incredibile nell’approvazione dei nuovi farmaci rispetto agli altri Paesi europei” [7]. Anche qui, nulla di nuovo: era il 2017 quando Scott Gottlieb (che poi sarebbe diventato il commissario dell’agenzia americana con Trump) sosteneva che “dando fortemente la priorità a uno dei suoi obblighi – la protezione dei consumatori – la Fda si è talvolta scordata di un altro dei suoi obblighi principali, vale a dire portare le innovazioni mediche sul mercato” [8]. Davvero un’unica commissione potrebbe rendere più rapida la valutazione rendendo le cure disponibili più tempestivamente? Un minor numero di componenti le commissioni ridurrebbe i tempi di accesso dei farmaci al mercato? Difficile indovinare le risposte. Ad ogni modo, la convinzione del ministro Schillaci è stata contraddetta da una precisazione dell’Associazione Liberati: “i tempi medi di approvazione in Italia sono inferiori alla media europea e inferiori a quelli di paesi come Francia, Spagna e Belgio” [9]. Anche l’ex direttore dell’agenzia Nello Martini ha commentato che “la narrazione di politici e esperti sulla lunghezza delle procedure da parte dell’Aifa rispetto agli altri Paesi europei non è documentata dai dati” [10].
Altro tema dibattuto è la soppressione del ruolo del direttore generale che capovolge l’impianto stesso della legge che ha istituito l’agenzia. Inoltre, metterà il presidente del CdA nella duplice e insostenibile condizione di controllore e controllato: da una parte sarebbe il responsabile unico delle principali decisioni assunte e dall’altra governerebbe l’organo di controllo dello stesso ente. “La abolizione della direzione generale indebolisce di fatto il carattere di autonomia tecnico-scientifica dell’Aifa – ha detto Martini a Andrea Capocci del manifesto [10] – perché affida al potere monocratico del presidente le due funzioni che prima erano separate ancorché integrate fra di loro. Creando uno sbilanciamento tra funzione tecnica e funzione politica”.
L’elefante nella stanza. Parecchi di noi hanno presente la storiella delle sei persone non vedenti che cercano di capire cosa sia quella strana cosa che stanno toccando (spoiler: è un elefante): ciascuna cerca di capire di cosa si tratta partendo da un particolare ma finendo così per allontanarsi dal capire la situazione. In modo simile, se ci fermassimo a considerare le irritualità formali, le imprudenze procedurali, le difficoltà gestionali che una decisione del genere potrebbe causare all’andamento dell’agenzia rischieremmo di guardare al dito e non alla luna. La questione fondamentale della restaurazione annunciata dell’Aifa non è nella possibile irritualità formale dei modi con cui sta venendo gestita. Potrebbe non essere neanche un “terremoto” a vantaggio della velocizzazione del time-to-market dei medicinali, dal momento che il ruolo delle agenzie nazionali europee è ormai molto ridimensionato. E forse anche i conflitti d’interesse per una volta c’entrano poco. La questione centrale è l’indipendenza dell’agenzia dal Governo. Dunque, la praticabilità di un rapporto non subalterno della Scienza alla Politica.
L’agenzia fu istituita grazie a un’intuizione dell’allora direttore generale del Dipartimento del farmaco e dei dispositivi medici del ministero della Sanità (nel 2003 così si chiamava), che alla richiesta del ministro dell’Economia Tremonti (“Mi servono due miliardi di euro e devo prenderli dalla farmaceutica”) rispose di poterlo aiutare se fosse stata istituita un’agenzia del farmaco “dotata di autonomia organizzativa, patrimoniale, finanziaria e gestionale”: così recita infatti il comma 2 dell’art.48 del Capo IV del decreto istitutivo dell’Agenzia italiana del farmaco. Un’agenzia sottoposta solo alle “funzioni di indirizzo” del Ministero della salute e di vigilanza da parte dello stesso ministero e del Mef. All’agenzia era di fatto affidato l’onere di trovare soluzioni tecniche per migliorare l’appropriatezza prescrittiva e le modalità di rimborso dei medicinali contribuendo indirettamente anche alla sostenibilità economica e finanziaria del Paese, nonché una serie di altre essenziali attività riguardanti la qualità della produzione, la farmacovigilanza, l’informazione scientifica e l’aggiornamento dei professionisti [11]. Si trattava (e si tratta) infatti di aspetti centrali di sanità pubblica (come ribadito dallo stesso comma 2 del decreto) ma che un ente autonomo dalla Politica può affrontare e risolvere non solo disponendo di maggiori competenze ma anche della libertà di compiere delle scelte importanti senza rischiare di essere accusato di voler razionare interventi e prestazioni per conseguire un risparmio economico.
L’elefante nella stanza della politica sanitaria italiana (e probabilmente non solo italiana) è dunque la possibilità che un’agenzia nazionale – interprete anche delle istanze regionali in un sistema sanitario frammentato – possa agire realmente in modo indipendente dalla Politica. Il “riordino” deciso dal Parlamento va nella direzione “di ridurre l’autonomia di un’agenzia tecnica e aumentare l’invadenza politica” ha commentato Giuseppe Traversa [12].
Scienza e politica. “Aumentare” è il termine giusto perché già a partire da pochi anni dopo l’istituzione dell’Aifa – non appena la Politica aveva ritenuto di aver recuperato la propria credibilità dopo le vicende che avevano descritto nei dettagli un quadro di diffusa corruzione – l’indipendenza dell’agenzia è stata sistematicamente disattesa. Senza tornare troppo indietro negli anni, basta guardare alla pandemia come a un esempio di come la politica e la scienza interagiscano in condizioni di incertezza aumentando enormemente la probabilità che in nome della “competenza” possa essere assunta qualsiasi decisione opposta e contraria. Un tempo, la tentazione prevalente in situazioni del genere sarebbe stata quella di ritenere che “la ragione” fosse dalla parte della scienza: ma oggi nessuno (o quasi) è più in grado di capire chi possa rappresentare la posizione della “scienza”. Anche per questo è sempre la politica a dettare il percorso. Alla prova dei fatti ogni tentativo di risolvere questo contrasto si è rivelato né realistico né utile. Allora? Può esistere una politica sanitaria (e farmaceutica) basata sull’evidenza? Quel che sta accadendo non rende probabile una risposta positiva. Le condizioni perché possa accadere sono la disponibilità di dati (“prove” di qualità e accessibili tempestivamente non solo da parte delle istituzioni ma anche dei cittadini) e la trasparenza sui modi in cui vengono prese le decisioni, sia che si tenga conto o che si ignorino le prove. Ognuno può giudicare quale distanza separa la sanità italiana da questa base di partenza.
Intanto, non resta che aspettare di capire se questo “riordino” sarà una rivoluzione o una restaurazione. Tenendo presente che la cosa più importante sarebbe ricostruire il senso di fiducia (reciproca) tra istituzioni e cittadini: e per questo non è sufficiente un decreto.
Luca De Fiore
Il Pensiero Scientifico Editore
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