A cura di Maurizio Mori
Può essere spontaneo o procurato. Viene sostenuto in ambito Onu come uno dei più importanti tra i “diritti sessuali e riproduttivi”.
Con il termine “aborto” si intende l’interruzione di una gravidanza che porta alla morte dell’embrione o del feto. L’aborto può essere spontaneo o procurato. Quello spontaneo è molto frequente nelle primissime fasi, quando oltre l’80 per cento degli embrioni non si annida nell’utero e muore senza che neanche la donna se ne accorga, e arriva a circa il 15 per cento delle gravidanze accertate. Di solito nel linguaggio comune quando si parla di aborto si intende comunque quello procurato o volontario, in cui la donna vuole interrompere la propria gravidanza (per le più diverse ragioni).
Ampiamente ammesso e praticato nel mondo antico, con l’avvento del Cristianesimo l’aborto è diventato un peccato gravissimo, anche se con sanzioni diverse. Nel XIX secolo è stato severamente vietato da pressoché tutte le legislazioni ed è diventato un tema quasi innominabile fino agli anni Sessanta del XX secolo, allorché il femminismo l’ha posto al centro dell’attenzione pubblica. È stato liberalizzato dalla sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti “Roe vs Wade” (22 gennaio 1973), che in quel Paese ha sancito che la sovranità della donna sul proprio corpo è tanto forte e completa da non ammettere alcuna limitazione di legge. Negli anni Settanta e Ottanta in molti Paesi europei l’aborto è stato legalizzato, in quanto viene consentito secondo le disposizioni di una legge apposita. A partire dagli anni Novanta, l’Organizzazione delle nazioni unite (Onu) ha lanciato i “diritti sessuali e riproduttivi” che prevedono l’aborto medicalmente assistito come misura per tutelare la salute sessuale e riproduttiva della donna, minacciata dall’aborto clandestino che ne mette anche a rischio la vita. Di recente alcuni Stati del Sud America, dell’Asia e dell’Africa lo hanno consentito, per cui l’ammissione dell’aborto sembra essere in espansione, anche perché oggi può essere ottenuto con tecniche farmacologiche che lo rendono meno traumatico e meno controllabile.
Viene sostenuto in ambito Onu come uno dei più importanti tra i “diritti sessuali e riproduttivi”.
Sul piano bioetico i critici della situazione attuale osservano che l’aborto è una forma di omicidio, perché sin dalla fecondazione l’embrione sarebbe già un essere umano. Per costoro, anziché rappresentare una fase di crescita morale, la nostra epoca si connoterebbe come un ritorno alla barbarie, in cui si attua una sistematica violazione del diritto alla vita. In letteratura si ribatte, invece, che il diritto alla vita è proprio della persona, la quale oltre al corredo cromosomico ha anche le adeguate strutture cerebrali che forniscono le capacità di attività simbolica. Nelle prime fasi (settimane e anche mesi) di sviluppo il concepito non è ancora sufficientemente formato per avere le capacità di attività simbolica. Pertanto non ha (e non può avere) il diritto alla vita, e l’aborto non è affatto in nessun senso una forma di omicidio. L’attuale insistenza su questo dipende dal fatto che oggi l’omicidio è considerato il crimine più grave e lo si menziona per trasmettere l’idea che l’aborto sia qualcosa di grave: un tempo, quando era un peccato innominabile, la sua gravità era di per sé autoevidente e non c’era bisogno di giustificarne il divieto. Oggi non è più così e c’è bisogno di dire che è una forma di omicidio per cercare di far capire che l’aborto è moralmente illecito, ma l’argomento è razionalmente insostenibile.
Se la contraccezione segna un progresso morale dell’umanità, allora lo è anche l’aborto, che è un diritto della donna in quanto il libero accesso all’aborto medicalmente assistito è garanzia a tutela della sua salute sessuale e riproduttiva.
Per cercare di sostenere il divieto di aborto, il critico può modificare l’argomento e dire che il concepito ha in potenza le capacità richieste per essere persona. Così facendo, tuttavia, riconosce che effettivamente il concepito non ha ora le capacità richieste, ma le svilupperà in futuro ove si consentisse al processo vitale di fare il proprio corso. Questi deve inoltre riconoscere che il principio di potenzialità vale anche per i gameti che già si trovano nel luogo adatto, perché sin da questo momento si può dire che quel processo vitale, se non impedito e se va a buon fine, in futuro svilupperà le capacità di attività simbolica richieste che lo porteranno a essere “uno di noi”. In breve, l’argomento di potenzialità vale anche prima della fecondazione, quando il processo vitale si trova nel corpo della donna o nella provetta, e vieta quindi non solo l’aborto, ma anche la contraccezione, cioè il birth control. In effetti, la Chiesa cattolica condanna senz’appello entrambe le pratiche, anche se prevede sanzioni diverse per ragioni di opportunità pastorale connesse con la loro maggiore o minore diffusione. Non è qui possibile addurre argomenti a favore della moralità della contraccezione. Ci basta dire che essa ha consentito alla donna uno straordinario maggiore controllo della fertilità e per questo risulta una delle tappe di crescita morale del genere umano.
Conclusione: se la contraccezione segna un progresso morale dell’umanità, allora lo è anche l’aborto, che è un diritto della donna in quanto il libero accesso all’aborto medicalmente assistito è garanzia a tutela della sua salute sessuale e riproduttiva.
Maurizio Mori Presidente della Consulta di bioetica onlus Direttore della Scuola superiore di bioetica
Questo testo è tratto dal libroLe parole della bioeticaa cura di Maria Teresa Busca e Elena Nave (Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2021). Per gentile concessione dell’editore.